Iniziative


Breve storia del Muquifu, museo dei quilombos e delle favelas urbane di Belo Horizonte

Nel cuore della favela di Belo Horizonte, un museo inusuale, frutto di una sfida e di una passione, racconta una storia fatta di oggetti senza pregio che si fanno collezione, di finestre senza infissi popolate di storie, di tamburi e danze che evocano un passato ancestrale. Interviene: Giuliana Tomasella (Centro di Ateneo per i Musei - Dipartimento dei Beni Culturali Università di Padova) Che cos’è il Muquifu? È un museo inusuale, frutto di una sfida e di una passione, creato per rovesciare alcuni stereotipi e luoghi comuni e per opporsi all’ingiustizia sociale. Un luogo di azione e non di contemplazione, che vuole valorizzare le risorse immateriali del vissuto di una grande favela di Belo Horizonte, recuperando e rilanciando storie, progetti, percorsi individuali e collettivi: dalle radici del Quilombo, nome con cui si indicano i primi insediamenti degli ex-schiavi africani, nati all’insegna della ritrovata libertà, alle prospettive negate di un futuro che sembra appartenere solo a chi è ricco e bianco. Nato da un’esperienza di vita e da un progetto di tesi di laurea, discussa nel 2013, nella sua breve ma intensa storia il Muquifu è riuscito ad aggregare e condensare – attraverso allestimenti, installazioni, mostre, percorsi - innumerevoli racconti che, pur parlando dello sgomento di una prossima estinzione, di un orizzonte sottratto allo sguardo, di un’incertezza che cancella i tratti riconoscibili di una comunità, riescono a rovesciare la negatività in resistenza. Ciò che colpisce particolarmente di questa sofferta e insieme gioiosa esperienza, è la sua capacità di sovvertire le abituali categorie, scompaginando la scala dei valori. Il Muquifu fa corpo con la comunità che lo circonda, perché grazie ad esso vengono restituiti dignità, densità e valore alle piccole esperienze quotidiane, che divengono nuclei profondi di senso ed emozione, in cui il vissuto della favela si condensa. Il fondatore/curatore del museo, Padre Mauro Luiz da Silva, che è stato a lungo parroco della favela, non vuole nascondere le contraddizioni e il degrado di una realtà che sarebbe assurdo idealizzare. Non è questo il punto. Si tratta piuttosto di far deflagrare la contraddizione di coloro che, in nome di una presunta rinascita residenziale dell’area in cui l’insediamento si trova (nel pieno centro di Belo Horizonte), vogliono spazzarne via gli abitanti, per non vedere più, così vicino alla città dei ricchi, quella dei poveri. Il Muquifu si pone sulla linea di confine fra le due diverse realtà, provando a farle dialogare, mostrando come non tutto, nella favela, sia da respingere con spavento o da allontanare con disprezzo. Si pone come zona osmotica di passaggio tra il fuori e il dentro, preludio alla favela o, in senso opposto, alla città, luogo in cui è possibile un incontro fra gli abitatori dei due mondi, usualmente così separati. Come sempre accade, nel momento in cui l’astrattezza di un’idea - o di un pregiudizio - si incarna in persone, memorie, racconti, nascono la curiosità e l’interesse. Questo rappresenta il Muquifu: uno scarto, un rovesciamento di prospettiva, che guida il nostro sguardo dal centro alla periferia, negli interstizi di una storia inusuale, fatta di oggetti senza pregio che si fanno collezione, di finestre senza infissi popolate di storie, di tamburi e danze che evocano un passato ancestrale.