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Sulla rivista Nature lo studio sullo stato di salute delle foreste pluviali

Emergenza ambientale, le foreste pluviali assorbono meno anidride carbonica

 

La copertina della rivista internazionale Nature, la bibbia della comunità scientifica mondiale, premia lo studio di un network globale di enti e ricercatori: Francesco Rovero, ricercatore del MUSE - Museo delle Scienze e dell'Università di Firenze, è l'unico italiano del team. Le foreste pluviali di Africa e America sono in difficoltà: in trent'anni - a causa delle crescenti temperature e della deforestazione - hanno diminuito di un terzo la loro capacità di assorbire l'anidride carbonica.

 

I ricercatori di un centinaio di istituzioni nel mondo lanciano l’allarme: le foreste pluviali dell’America latina e dell’Africa, polmoni verdi del nostro pianeta, sono in affanno. Assorbono minor quantità di anidride carbonica (CO2) presente nell’atmosfera - circa 1/3 di meno rispetto agli anni ’90 - e per questo non riescono più a rallentare i cambiamenti climatici.

La ricerca internazionale, che ha meritato la copertina di Nature (https://www.nature.com/), vede la partecipazione, per l’Italia, dell’Università di Firenze e del MUSE - Museo delle Scienze. È guidata dall’Università di Leeds e ha analizzato i dati di accrescimento e mortalità di 300.000 alberi, da 565 aree di foresta pluviale in Africa e Amazzonia, tracciati nel complesso per oltre 30 anni e raccolti da una rete imponente di ricercatori (“Asynchronous carbon sink saturation in African and Amazonian tropical forests” doi: 10.1038/s41586-020-2035-0).

 

“Gli alberi delle foreste del globo, come noto, tramite la fotosintesi stoccano l’anidride carbonica rimuovendola dall'atmosfera e immagazzinandola nella loro biomassa – spiega Francesco Rovero, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e collaboratore di ricerca del MUSE -. Per questo le rilevazioni che abbiamo ottenuto misurando gli alberi in moltissime aree forniscono dati importanti che, elaborati attraverso modelli, documentano una progressiva perdita di CO2 immagazzinata dalle foreste pluviali, con un calo, dagli anni ’90 alla decade 2010-2020, di circa un terzo. In dettaglio – specifica Rovero, che ha contribuito con i dati di un programma di ricerca e monitoraggio della biodiversità in Tanzania, da lui coordinato – le foreste pluviali intatte rimuovevano il 17% delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uomo, quota ridotta al 6% negli ultimi dieci anni, con un calo stimato del 33%”.

 

La minore capacità di assorbire carbonio è dovuta a un progressivo rallentamento della crescita e a un aumento della mortalità degli alberi, processi causati principalmente dalle crescenti temperature e siccità. Ma un altro motivo del minor stoccaggio del carbonio risiede nella diminuzione drastica delle aree tropicali di foresta intatta (in media del 19%), per via della deforestazione e frammentazione incessanti. “Nel frattempo – aggiunge il ricercatore – sappiamo che le emissioni globali di CO2 prodotte dall’uomo sono balzate in alto del 46%".

 

“In conclusione – spiega ancora Rovero – lo studio ha rivelato che, in particolare, la foresta amazzonica ha raggiunto la soglia di saturazione negli anni ’90, pareggiando la quantità di anidride carbonica immagazzinata con quella emessa, e le foreste africane ci arriveranno intorno al 2030. La sfida del cambiamento climatico e la necessità di contrastarlo sono pertanto sempre più urgenti”.